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15-11-2013  | Link http://www.linkiesta.it/telecom-procura-consob Invia Invia mail ad un amico Stampa Stampa

Le mosse del regolatore e dei magistrati. Il ruolo di Fossati. Gli investimenti che mancano

È guerra totale. A poco più di un mese dall’assemblea – convocata su richiesta di Marco Fossati, azionista al 5% di Telecom tramite Findim – che dovrà esprimersi sulla revoca dell’attuale consiglio di amministrazione, gli uffici romani e milanesi dell’ex monopolista sono stati perquisiti oggi dagli uomini della Consob coadiuvati dai militari della Guardia di Finanza. Non solo: oggi si è saputo che ad ottobre la procura di Roma ha aperto un fascicolo, affidato al pool del procuratore aggiunto Nello Rossi, sulla vendita di azioni Telco agli spagnoli di Telefonica.

L’azione del regolatore è stata sollecitata da alcuni esposti, tra cui quelli presentati dall’associazione dei piccoli azionisti (Asati) e dallo stesso Fossati, sui temi trattati nel corso del consiglio d’amministrazione del 7 novembre scorso. Due le pietre dello scandalo: il convertendo da 1,3 miliardi collocato presso investitori istituzionali prima ancora della sua approvazione in assemblea e la vendita della controllata Telecom Argentina per un miliardo di dollari al fondo Fintech del messicano David Martinez, che conosce bene la società in quanto azionista rilevante di Sofora, holding di controllo.

I funzionari del regolatore, che continueranno le verifiche anche domani, acquisiranno documenti e verbali dell’ultimo consiglio di amministrazione per capire se vi siano eventuali profili di natura penale. Tuttavia, stando al comunicato stampa emesso da Telecom a metà pomeriggio, le ispezioni riguardano anche le «procedure aziendali in materia di confidenzialità delle informazioni privilegiate e di tenuta del registro delle persone che vi hanno accesso». Formula che, tradotta, significa che l’authority guidata da Giuseppe Vegas vuole verificare gli elenchi delle persone iscritte – come prevedono i controlli interni – nei registri di chi è a conoscenza di informazioni sensibili.

All’indomani del consiglio d’amministrazione del 7 novembre, i piccoli azionisti capitanati da Franco Lombardi avevano diramato un durissimo comunicato affermando che Telco:


«Ha approvato l’operazione sul convertendo per 1,3 miliardi di euro riservando un potenziale trattamento prioritario nel processo di allocazione a Telefonica e anche agli altri Istituti finanziari di Telco, attuali azionisti, negandolo però a tutti gli altri 500.000 piccoli azionisti risparmiatori che rappresentano l’85% del capitale, dal momento che ieri sera alle 20.30, ovvero subito dopo il CDA, è avvenuta l’intera collocazione dei diritti. Che miracoli!!! E in questo noi, come minoranze siamo state, danneggiate due volte perchè alla fine, oltre a non poter partecipare subito al collocamento del Convertendo, il nostro capitale, una volta convertito in azioni, sarà ancora più diluito».

Sulla carta, lo strumento scelto dal management per evitare un costoso aumento di capitale è piuttosto conveniente: al rendimento del 6% non solo va sommato un premio medio di conversione del 20%, ma anche i dividendi, sospesi dal management soltanto sulle azioni ordinarie. Insomma, è come detenere azioni di risparmio. Senza diritto di voto e senza alcuna protezione in caso di Opa, ma con il vantaggio di creare un credito d’imposta perché il prezzo a cui avviene la conversione va depurato dal dividendo. Non a caso il gigante Blackrock, al 5%, ne ha sottoscritti 200 milioni. Niente male, peccato che il parco buoi ne sia rimasto – ancora una volta – escluso. Una posizione a cui la società risponde con un ragionamento trapelato sui giornali nei giorni scorsi: è vero, i piccoli non hanno partecipato al banchetto, ma la mossa ha consentito alla società di evitare un ulteriore declassamento. Una mannaia che si sarebbe inevitabilmente abbattuta in caso di aumento di capitale.

L’altra operazione che non ha convinto nessuno è la cessione senza gara di Telecom Argentina. Guardando ai conti al 30 settembre, Buenos Aires ha portato in dote ricavi per 2,8 miliardi (+1,7%), e margini a 796 milioni (28% dei ricavi, -1,5% su settembre 2012). Una scelta che sarebbe dovuta passare per l’assemblea.

Alla fine si tratta di una battaglia tra chi non può o non vuole aprire il portafoglio. Marco Fossati, lo ha dichiarato egli stesso, non ha intenzione di lottare a suon di deleghe in assemblea per il controllo, ma soltanto per trasformare in public company ciò che è tale solo sulla carta attraverso un board di indipendenti. Senza cioè lanciare un’Opa che avrebbe avuto il merito di apprezzare il titolo a beneficio di tutti gli azionisti e costringerebbe Telefonica, stando ai patti parasociali di Telco, a rilanciare. Questioni che si riflettono pesantemente sul piano industriale licenziato da Marco Patuano. Ci vuole infatti tutto l’ottimismo dell’ex presidente Gabriele Galateri di Genola, compagno di master di Cesar Alierta e alfiere del passaggio agli spagnoli, per definirlo «incoraggiante». Eppure è nella parte industriale di Telecom che si gioca partita per la competitività del Paese: al 2016 per la banda larga in Italia si prevedono solo 9 miliardi, in linea con il vecchio piano. Trattare, come sostiene ufficialmente Enrico Letta, Telecom come un’azienda privata non ha senso quando è sulla rete fissa che si nasconde il deficit di competitività delle imprese italiane. Né tantomeno riproponendo, come vorrebbe il viceministro dello Sviluppo Economico, Antonio Catricalà, l’intervento della Cassa depositi e prestiti.

   
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